Tylerdurdan*, il rapper che risponde all’algoritmo con una rettifica: "La verità non si scrive per prima"*
C’è un momento nel rap in cui la barra smette di essere stile e torna ad essere posizione.
Mi chiamo tylerdurdan*, tutto minuscolo e con l’asterisco.
Non è una scelta estetica: è un disclaimer. Per ricordare — a me e a chi legge — che non sto interpretando un ruolo. Non sono un personaggio, né voglio esserlo. Scrivo. A volte in punta di piedi, altre sbattendo la porta. Ma sempre con una ragione. Questa volta, si chiama 4 Pagliacci.
Una fake news culturale, rilanciata senza pensiero
Perché ho scritto questo brano? Perché negli ultimi giorni è circolata — e amplificata senza filtro — una notizia falsa: che IAM sia la prima cantante italiana generata dall’AI. Non è opinabile. È falso. Punto.
Ecco un pessimo esempio di "giornalismo"
Eppure testate giornalistiche, creator, operatori dell’informazione l’hanno riportato senza un minimo di verifica. Senza memoria. Senza responsabilità. 4 Pagliacci è la mia risposta. Non con un tweet indignato, non con un comunicato stampa, ma con un testo. Ironico, amaro, chirurgico.
Il testo come atto di accusa (e di amore per la verità)
Il brano si apre con due versi che valgono più di una biografia:
"La verità non ha bisogno di primati.
Si riconosce dal silenzio che lascia dopo."
Si riconosce dal silenzio che lascia dopo."
Non c’è bisogno di prime volte per dire qualcosa di vero. La verità non è uno scoop. È ciò che resta quando il rumore si spegne.
Da lì inizia il racconto: un’escalation metrica in cui denuncio non solo l’assurdità del titolo su IAM, ma l’ecosistema che lo ha reso credibile. Un sistema dove l’algoritmo decide la narrazione, i giornalisti la copiano, e l’industria applaude.
“Vi siete messi in quindici / per fare un pezzo che sembrava sveglio
Se mi ci mettevo quindici minuti / lo facevo meglio”
Se mi ci mettevo quindici minuti / lo facevo meglio”
La punchline è chiara: sotto la superficie dell’apparente rivoluzione artistica, c’è solo coordinamento strategico, scrittura collettiva, e un prodotto senz’anima.
Il messaggio è semplice: non basta sembrare svegli se alla fine dormite tutti in piedi.
"Giornalista succube, pubblicami il comunicato
A me non cambia niente, sono scomunicato"
A me non cambia niente, sono scomunicato"
Qui l’attacco vira sul giornalismo culturale, accusato di aver rinunciato al ruolo critico. tylerdurdan* si mette fuori dai giochi (“scomunicato”) ma lo fa con orgoglio: la marginalità è libertà quando dentro il sistema si annida il compromesso.
"Quando ho letto 'IAM prima cantante e AI'
Ho pensato subito: ma quando mai?"
Ho pensato subito: ma quando mai?"
Non è un dissing, è un verbale in rima.
Il centro tematico del brano: un falso storico, un hype costruito. Una frase diventata truth by repetition, che tylerdurdan* smonta con sarcasmo chirurgico. È qui che entra il vero diss, non verso IAM in sé, ma verso chi spaccia l’ignoranza come avanguardia.
IAM non è il bersaglio.
L’hook è un mantra. “E AI” diventa suono e simbolo: un lamento, un’allitterazione fonetica e un’accusa. Il richiamo è al vuoto creativo dell’industria che si affida agli assistenti vocali e all’intelligenza artificiale come scorciatoia, svuotando il mestiere di ogni significato.
"Tutte rime finte, rime con E AI
Tanto lo sappiamo che obiettivo hai
Assistenti e AI e chatbot non si stancano mai
Solo i giornalisti non imparano mai"
Tanto lo sappiamo che obiettivo hai
Assistenti e AI e chatbot non si stancano mai
Solo i giornalisti non imparano mai"
Un’accusa netta a chi ha smesso di pensare, demandando tutto al feed. A chi prende il comunicato e lo spaccia per articolo. A chi ha confuso l’algoritmo con l’intelligenza.
L’ultima strofa, l’unica vera notizia
"La verità non l’ha mai scritta chi fa la storia
Il racconto che ci arriva è quello di chi vince
Ma se leggi tra le righe dei perdenti
Scopri chi è che finge"
Il racconto che ci arriva è quello di chi vince
Ma se leggi tra le righe dei perdenti
Scopri chi è che finge"
Questa è la chiave. Non cerco visibilità, ma responsabilità.
“Al posto del cervello ormai avete un algoritmo
Banalità in potenza logaritmo”
Banalità in potenza logaritmo”
Qui il lessico si fa tecnico, ma senza diventare freddo. Il linguaggio matematico serve per mappare il vuoto cognitivo di chi crea contenuti preimpostati, dove la creatività è sostituita da un “if this then that”. Da notare il parallelismo tra logaritmo e banalità potenziale: un’equazione che annulla ogni poesia.
“Ghetto chic questo è rap originale tre chic / non è mica uguale a voi, bamboccioni in 3D”
La critica si sposta sullo styling forzato: l’estetica ghetto è diventata posa da boutique. Tre chic come unità di misura del vero, contro i fake in 3D stampati dalla macchina dell’hype.
“Chiamiamo Umberto Smaila e facciamo All IN”
Un’immagine da film: la scena è talmente farsesca che sembra una reunion di villaggi vacanze anni ’80. Una parodia amara della direzione presa da certo intrattenimento mainstream.
4 Pagliacci non è un pezzo da playlist: è un invito a recuperare il senso del dubbio, il valore della verifica, l’etica del giornalismo.
“Potrei stare in pace modello San Francesco / Ma a stare zitto proprio non riesco”
Qui l’autore si espone, lasciando intravedere il conflitto personale. Non è in cerca di scontro, ma nemmeno disposto a ingoiare il silenzio.
“Mangio trasparenza mica banco note”
Una barra che vale un editoriale: in un mondo dove tutti mangiano carta stampata (o peggio, marchette), tylerdurdan* rivendica l’unica dieta possibile per chi scrive: la verità.
“Creators mal creati senza furbizia / Create disinformazione con questa tizia”
Il tono si fa più diretto, ma mai insultante. L’oggetto è l’intera filiera: chi produce contenuti in nome della novità ma senza controllo, senza verifica, senza profondità.
“La verità non l’ha mai scritta chi fa la storia / Il racconto che ci arriva è quello di chi vince”
Eccola, la strofa manifesto.
Da Benjamin a Orwell, tutto il pensiero critico qui si condensa in quattro versi. È un richiamo al dovere di leggere “tra le righe dei perdenti”, dove spesso si nasconde la realtà che nessuno vuole raccontare.
Perché ascoltarlo
Dentro non c’è solo un beat. C’è una posizione. Un’urgenza. Un tentativo di restituire senso a parole come “verità” e “racconto”, oggi usate troppo spesso come specchietti per le views.
Se vorrai parlarne, anche solo per aprire un confronto serio sul rapporto tra informazione, AI e cultura, io ci sono.
E se vorrai solo ascoltarlo in silenzio, va bene lo stesso.
Perché, come scrivo nel brano:
Perché, come scrivo nel brano:
“La verità si riconosce dal silenzio che lascia dopo.”
Questo non è solo un dissing.
È un pezzo da ascoltare.
Perché oggi, dove la narrazione è più costruita dell’opera stessa, tylerdurdan* ci ricorda che la parola autenticità ha ancora senso.
Non è rap per far rumore.
È rap per spegnere il rumore.
È un pezzo da ascoltare.
Perché oggi, dove la narrazione è più costruita dell’opera stessa, tylerdurdan* ci ricorda che la parola autenticità ha ancora senso.
Non è rap per far rumore.
È rap per spegnere il rumore.